5 febbraio 2010

La precarietà esistenziale.

Avete mai notato quanto i buoni propositi siano strettamente collegati ad un inizio prestabilito? Ovvio che sì ;) qualche esempio: da lunedì inizio la dieta, dal mese prossimo m'iscrivo in palestra, anno nuovo vita nuova ecc ecc. Ebbene, il mio ritorno sul piccolo schermo invece è assolutamente casuale xD
In questo periodo di assenza aprivo il blog tutti i giorni ma puntualmente la voglia di scrivere si nascondeva e io non avevo la forza di andarla a cercare; per un po' ho anche temuto che - come quasi tutte le cose della mia vita - anche questo progetto fosse destinato a finire nel dimenticatoio per mancanza di attenzioni costanti, proprio come una pianta che appassisce se non la si cura. Poi finalmente ho deciso di riempire - almeno in parte - questi giorni così strani, vuoti, deprimenti; giorni in cui sto sperimentando all'estremo cosa vuol dire essere una studentessa erasmus fuoriposto, o una studentessa fuoriposto e basta. Con cosa li ho riempiti? Con una buona dose di cinema! Almeno una passione che rinasce :)

Ho visto vari film in questi giorni, dai più interessanti ai più inutili (anche se in fondo nessun film è completamente inutile - a parte cinepanettoni e cazzate del genere - se riesce a lasciarti almeno uno spunto di riflessione) e quello di cui voglio parlare me ne ha lasciato uno bello grosso! Sto parlando di "Caterina va in città" di Paolo Virzì.

Innanzitutto, perchè precarietà? Devo ammettere che l'idea mi è venuta da un altro fantastico film del grande Virzì, "Tutta la vita davanti", dove si parla di precarietà in ambito lavorativo. Ma esaminiamo il significato di questa parola:
"Nel linguaggio comune il termine precarietà indica incertezza, condizione di instabilità, situazione di disequilibrio. Da un punto di vista etimologico, deriva dalla parola latina prece, ovvero preghiera. Nell’antichità, il precario era colui che pregava. Nel corso dell’ultimo mezzo secolo, il concetto di precarietà ha subito alcune modificazioni nella percezione collettiva, sino a tornare ai nostri giorni a un significato che, paradossalmente ma anche significativamente, non si discosta molto da quello originale dei latini. Chi prega è infatti colui che ha fede o che ha speranza e il suo pregare oltre a essere un atto di vita (esistenziale) è un atto che tranquillizza in un contesto particolarmente carico di incertezza, instabilità e paura del futuro. Chi prega è anche colui che si rimette nelle mani di un altro, ovvero si colloca in una posizione così (psicologicamente e cerebralmente) subalterna da essere quasi cosciente di non essere in grado di poter andare avanti." (http://www.transform.it/precarieta-1)

Tralasciando il personaggio di Caterina (una bravissima Alice Teghil), la sua visione del mondo, il suo rapportarsi con gli altri, la sua classe di scuola - specchio della società - divisa tra destra e sinistra...al di là di tutto questo, voglio soffermarmi sul personaggio di Giancarlo Iacovoni (magistralmente interpretato da Sergio Castellitto) e sui sentimenti in lui radicati: frustrazione, instabilità, disequilibrio interiore. Egli rappresenta in toto la visione pessimistica della precarietà esistenziale dell'uomo medio, alla spasmodica ricerca della vera realizzazione di sè; l'uomo che si ritrova a vivere una vita che gli va troppo stretta e cerca la soddisfazione in un sogno che vede sfumare davanti ai suoi occhi. Giancarlo è forse la figura più ambigua di tutto il film; inizialmente lo trovi insopportabile, presuntuoso e opportunista ma alla fine scopri che la sua è tutta debolezza e voglia di riscattarsi dopo una vita piena di delusioni, una vita che forse non sente completamente sua. Come dice lo stesso Virzì: "Giancarlo Iacovoni assomiglia a tante persone che ho conosciuto nella vita, assomiglia anche al lato oscuro di noi stessi, forse anche al mio...il risentimento, il livore, l'invidia ma al contempo questo entusiasmo fanciullesco. E' un personaggio che detestiamo ma a cui vogliamo un gran bene; proviamo un senso di pena per lui, di imbarazzo." (http://trovacinema.repubblica.it/news/dettaglio/io-e-caterina/261606)

[Attenzione: contiene spoiler!]

Sin dai primi fotogrammi ci rendiamo conto dello sconforto nei suoi occhi e nella sua voce e della speranza di miglioramento che nutre in quel trasferimento tanto atteso, speranza che verrà delusa in men che non si dica e che lascerà in lui un terribile senso di vuoto e d'insoddisfazione. E come conosco bene io questa sensazione! Quante volte ho sperato che cambiare aria giovasse alla mia situazione e invece mi sono ritrovata sempre da capo a dodici, sempre più demoralizzata. Nel corso del film percepiamo il suo risentimento per non riuscire a realizzare il sogno di scrittore che coltiva da tempo, sentiamo il suo genuino entusiasmo mischiato a un po' d'invidia e ammirazione per le persone a cui si affida ("Chi prega è anche colui che si rimette nelle mani di un altro [...]") ma che alla fine si rivelano facenti parte delle tanto disprezzate conventicole. Proviamo imbarazzo quando esaspera la madre di Margherita intrufolandosi nel suo lavoro, quando fa la scenata al Maurizio Costanzo Show, quando cerca di farsi notare da Manlio Germano che invece lo snobba chiaramente. Lo detestiamo per come tratta la moglie con superiorità (forse inconsciamente) e per come assilla la figlia credendo di fare il meglio per lei e per sè stesso; poi però proviamo pena quando notiamo l'amarezza sul suo volto mentre osserva il ministro di destra e lo scrittore di sinistra che chiacchierano come grandi amici, quando si sfoga con moglie e figlia lamentandosi che "Quella è gente privilegiata, noi per loro siamo niente..." e gridando che "Ci escludono, ci trattano come giocattoli, siamo dei pupazzi che non si possono permettere un cazzo nella vita!", o quando lo vediamo così entusiasta la prima volta che accende la sua moto - ultima scappatoia da quella vita mediocre - ma un attimo dopo scopriamo l'amara sorpresa:



Insomma, in fin dei conti mi sono sentita vicina a questo personaggio più di quanto potessi immaginare. Pur essendo anagraficamente più giovane mi sento già troppo stretta nei miei panni di studentessa sconclusionata, sento già un precoce senso di frustrazione e non so cosa voglio davvero dal futuro. Adesso c'è solo un'incognita che mi frulla nella mente: qual è la chiave per vivere davvero la propria vita ed esserne soddisfatti fino in fondo?


Si sta come, d'autunno, sugli alberi, le foglie.
(G. Ungaretti)