1 giugno 2010

Vita da equilibrista inesperta.

Ti svegli la mattina senza ben riuscire a capire come ti senti, bevi un caffè freddo avanzato, controlli il meteo, ti incazzi perchè non trovi la maglia che avresti voluto metterti, maledici la zazzera di paglia che hai in testa, ti incazzi di nuovo perchè non trovi i calzini e perchè qualcuno ha manomesso la tua cintura preferita (a dire la verità è l'unica che metti e solo per tenere su i jeans un po' cadenti, giacchè non sei un'amante di questo accessorio). Che strano che ti cadano i jeans, pensi. Dopotutto non ti vedi affatto dimagrita, anzi, quello schifoso rotolo di ciccia è ancora lì che ti guarda e si fa beffe di te.
Ti lavi, ti vesti e porti il caffè a letto a tuo padre, chiedendogli di accompagnarti alla fermata dell'autobus. Troppo tardi: ancora prima di arrivare e già vedi un puntino arancione allontanarsi lungo la strada. Lui non fa una piega e ti accompagna fino all'università; chissà, forse perchè essendo in ferie non ha niente di urgente da sbrigare, o magari vuole farsi un giro, oppure ha solo voglia di scambiare qualche parola con te ora che ha tempo e non c'è nessun televisore a distrarlo. Nemmeno tu vorresti che quei venti minuti in macchina passassero nel silenzio più totale, eppure è proprio quello che succede. Sarà stato il nervoso di prima mattina ancora in circolo, la stanchezza accumulata, la confusione in testa, la consapevolezza che non ti presenterai all'esame di trattativa inglese al quale ti eri iscritta, la paura mista a curiosità per quello che potrebbe dirti la psicologa al termine del quarto e ultimo incontro di "conoscenza preliminare".
Ogni volta è una sofferenza. Ogni volta vorresti aver qualcosa da dire, vorresti renderli più partecipi della tua vita, vorresti riuscire a mettere un po' di ordine dentro la testa per poter realizzare una frase di senso compiuto che soddisfi i loro dubbi. Vorresti essere in grado di ripondere a tua madre che ti chiede quale sia il problema, cos'è venuto fuori da quegli incontri, come hai intenzione di risolverlo. Ma tu non sai proprio cosa dire, non sai neanche da che parte iniziare e hai sempre paura che una parola di troppo o un un discorso male interpretato possano creare casini...e no, non hai proprio voglia di discutere. Ti trascini all'università dopo un ciao e un grazie e lasci passare il tempo in sala computer fino a che non arriva il momento tanto atteso. Esci dalla facoltà e t'incammini verso la tua "sentenza".

Buongiornocomesta?ehinsommahodecisodinonpresentarmiallesame
dioggipomeriggioperchènonmelasentoproprioblablabla...
"Io per lei avrei pensato ad una terapia individuale di un anno, per avere il tempo necessario a conoscere e sistemare tutte le questioni del suo passato che si stanno ripercuotendo sul presente. Immagini di trovarsi dentro una casa che mano a mano si sta riempiendo di cose buttate alla rinfusa, apparentemente dimenticate o no, le quali stanno occupando tutto lo spazio vitale attorno a lei; insomma, questo ammasso indistinto la sta quasi spingendo fuori della sua propria casa. Forse è arrivato il momento di mettere un po' di ordine, di riunire i pezzi, di buttare via quello che non serve più e di riutilizzare quello che può essere riutilizzato."

Esci dall'ufficio quasi in trance, come sempre. Hai la testa ovattata e ti sembra di barcollare. Sei anche sudata, quasi che quell'ora di parole seduta su una sedia avesse implicato uno sforzo fisico. Esci dall'edificio. Afa. Persone da tutte le parti. Parole a mezz'aria. Cammini svelta tra pedoni e biciclette, fiancheggi la piazza del mercato e imbocchi la via che ti riporta alla facoltà, mentre ti senti totalmente estranea al mondo che ti circonda. Hai quasi l'impressione che chiunque possa leggerti in faccia dove sei appena stata e ti senti terribilmente scoperta, indifesa, giudicata.
Qualche minuto dopo rivedi in lontananza quell'edificio familiare, l'edificio dove soffri silenziosamente ma che in fondo non vuoi lasciare prima del dovuto. Bella masochista che sei. Hai appena il tempo di andare a parlare con la professoressa di traduzione dall'italiano allo spagnolo e di farti affibbiare un generoso 23 per l'ultimo esame fatto. Avresti voluto di più ma non ti lamenti. Ti fa notare che devi ripassare le preposizioni e che ti sei fatta un po' ingannare da costruzioni della frase tipicamente italiane e dai cosiddetti falsi amici, ovvero quelle parole simili alla tua lingua madre ma che in realtà hanno tutt'altro significato. Falsi amici, che curiosa terminologia. Lei è talmente carina e disponibile, con quel sorriso dolce e il pancione di cinque mesi sotto il vestito, che nonostante tutto esci dall'ufficio serena.
Fuori ti aspettano tre ex compagne di corso per andare a pranzare insieme. C'è la Giulia, sempre in gamba e ottimista, col suo immancabile maglioncino nonostante il caldo afoso; la Fra sempre meravigliosamente polleggiata e con la solita sigaretta in mano; l'Eli dal sorriso radioso e quell'accento romano che ti mette sempre il buonumore. Dai, non avere paura, puoi anche chiamarle amiche.
Andate a comprare un pezzo di pizza all'angolo; tu incredibilmente riesci a trovarne una vegana con solo pomodoro e verdure e - mentre il commesso ti teletrasmette una manciata di accidenti perchè hai pagato un trancio di pizza da 3 € con un pezzo da 50 - uscite e decidete di andare al parco. Giusto il tempo di trovare un tavolo e iniziate a saziare gli stomaci affamati, incuranti del vento incessante, degli insetti molesti e dei rametti che ogni tanto si staccano dall'albero sopra le vostre teste. Due parole sugli esami, due parole sui professori, due parole sulle vacanze, due parole sulle vostre vite. Cercano di convincerti a presentarti all'esame ma non è proprio il caso. Rimanete così a lungo, chiacchierando sedute su quelle panchine di legno un po' scomode che tuttavia diventano subito confortevoli se ci sono le persone giuste.
Alla fine decidete che ne avete abbastanza degli attentati omicidi della pianta e dei dispetti degli animaletti e ve ne andate; chissà, magari loro vogliono solo un po' di pace. Vada per la tappa al vostro solito bar, per fortuna c'è un tavolino libero all'aperto. Le tue amiche prendono un dolce e tu un caffè. Altre chiacchiere, altri racconti, altri sogni che escono dai cassetti. Dopo mangiato la Fra vuole fumare un'altra sigaretta, e siccome oggi sei diventata la sua dispensatrice ufficiale di accendini, te ne fai offrire una. Già, ultimamente giri con un accendino in borsa pur non avendo più comprato sigarette da quando eri in erasmus. Non che tu sia una fumatrice, e non hai nessuna intenzione di diventarlo, però ogni tanto scatta come un impulso insensato che te ne fa venire una stupida voglia o uno pseudo-bisogno. Sarà che quel "sigaretta break" coincideva più o meno con l'orario in cui ti saresti dovuta presentare a trattativa. Anche se, a dir la verità, stando con loro non ci pensi neanche più di tanto a quell'esame che hai saltato a causa del tuo cervello che si rifiutava di lavorare.
Tre ore passano in fretta e arriva il momento dei saluti. Civediamoprossimamenteinboccaallupocisentiamociao. Ora stai bene. Sali sull'autobus e pensi che con quello stato d'animo puoi anche affrontare la discussione in sospeso col tuo ragazzo. Arrivi a casa sua e le parole escono copiose. Avevi ragione: l'hai affrontata e superata con successo, anche se la ferita brucia ancora. Ti accompagna alla fermata per prendere l'ennesimo autobus che ti porterà a casa. Vi abbracciate e vi scambiate qualche bacio sulle labbra, riassaporando quella vicinanza che l'ira e la delusione avevano impedito fino a quel momento.
A casa la situazione è un po' diversa: le discussioni divampano come benzina sul fuoco, ma non riescono a trovare soluzione. Ci sono cose che vorresti dire ma non puoi, altre che non vuoi dire per non ferire le persone che ami, così alla fine non se ne viene a capo. Non ti resta che sperare che un giorno non troppo lontano si sistemerà tutto.
Dopo cena hai un appuntamento su skype con Cecilia, che se la sta ancora godendo in erasmus a Cordoba. Vuole parlare con te perchè sa quello che ti sta passando; è sempre così socievole e premurosa. Le tue cuffie però non funzionano è così alla fine vi ritrovate a chattare.
Tra una parola d'incoraggiamento e l'altra ti viene in mente che non hai chiamato il tuo ragazzo, e lui non avrebbe potuto farlo dato che il tuo cellulare è fuori uso. Ti rendi conto che è già un po' tardi, però alzi comunque la cornetta del telefono di casa e lo chiami. Lui ti risponde con voce assonnata: stava già dormendo. Ciò nonostante, non manca di dirti: "Buonanotte amore, ti voglio bene".
Poco dopo chiudi anche la conversazione con la Ceci e ti metti a pensare alla tua vita. La prima cosa che ti viene in mente è un oggetto somigliante ad un nastro; un nastro bianco sospeso in un nulla nero come la pece. Quel nastro è la linea di confine e quel buco nero rappresenta le tue due vite parallele: quella negativa fatta di ansie, paure, ossessioni, brutti pensieri, depressione, vuoto interiore, apatia; quella positiva fatta di momenti giusti con le persone giuste e di altri piccoli attimi di felicità che aspettano solo di essere scoperti e ascoltati con attenzione, proprio come il rumore del mare racchiuso dentro una conchiglia. A volte quel nastro sparisce e ti ritrovi a vagare tra le due vite senza ben riuscire a distinguerle, ammaccandoti a causa delle cadute improvvise. Prima un po' di qua, poi un po' di là, poi si mescolano tra loro e ti perdi nel vortice che si è creato. Alla fine il nastro ricompare e ti vedi lì, in bilico come un'equilibrista inesperta che sente di dover cadere, prima o poi, ma non sa da quale parte finirà. La rete di protezione si trova solo da un lato e c'è da stare molto attenti.


2 commenti:

maktuub ha detto...

...è difficile lasciare un commento in queste tue parole... le ho lette giorni fa e le ho rilette varie volte... e ogni cosa mi sembra inadeguata, ogni parola, ogni consiglio, ogni pensiero, sembra non possano far molto... non perchè non ci sia niente da fare, no, ma perchè l'unica a poter "smuovere le acque" della tua vita sei tu.
ogni volta che ti leggo mi rivedo alla tua età... o forse un pò prima, quando il mondo era un punto interrogativo, un mezzo incubo, un luogo che non mi apparteneva e che nons apevo da che parte pigliare... non lo sò perchè poi tutto cambia, alcune cose le intuisci col tempo, altre ti sorprendi che siano cambiate da sole... una cosa che per me ha contato tanto è aver fiducia in me stessa, è fregarmene del vuoto che c'è sotto al filo e sentirmi sicura di me fino a pensare che in ogni caso ci avrei trovato un bel materasso.
vivi quello che hai ra, concentrati sulle piccole cose che ti fanno vibrare il cuore... forse lì ci puoi trovare tanti piccoli pezzi di te che messi insieme farenno una piccola armatura, ti faranno più forte...
un bacio grande grande piccolina, credi fermamente che qualcuno è disposto a starti a vedere dal basso e c'è sempre per acchiapparti al volo.

fairy_maila ha detto...

Grazie mille, che belle parole <3
Purtroppo ora la fiducia in me stessa è latitante...e io continuo a sentirmi sospesa e traballante...però prima o poi ce la dovrò fare!!